martedì 15 ottobre 2019

FIBROMI ALL'UTERO: LA VIA DELLA GUARIGIONE ATTRAVERSO UN PERCORSO PROFONDO DENTRO SE STESSE


Cari amici di questo blog,
oggi pubblico con grande gioia una nuova testimonianza, quella di una donna molto coraggiosa, che a 42 anni ha trovato le soluzioni più consone alla propria natura e alla propria volontà, per salvare il proprio utero da una probabile isterectomia a causa di vari fibromi uterini, e che soprattutto ha smesso di lottare contro se stessa, trovando la pace nel suo cuore.
Ecco la sua preziosa testimonianza:

"Cara Cristiana e care tutte,
vi scrivo per condividere con voi la mia storia, nella speranza che possa dare conforto a chi si trova in una situazione simile alla mia.

Ho 42 anni e, a gennaio 2019, mi rivolgo a un centro a Milano per curare il mio piccolo fibroma con una crema a base di ormoni bioidentici, non volendo prendere la pillola come consigliato dalla mia ginecologa. 
Lo tenevo controllato dal 2014, ma da mesi avevo forti dolori nel periodo ovulatorio e i cicli iniziavano ad essere ravvicinati. 
Lì scopro che si è ingrossato arrivando a misurare circa 4,5 cm, e ce n’erano altri due più piccoli. 

Inizio a curare di più anche l’alimentazione, comunque già molto equilibrata, eliminando tutti i cibi che procurano acidosi nell’organismo (tè, caffè, carne, latticini, frumento, ecc). 
Un’ecografia 3D il mese successivo evidenzia un’ulteriore crescita del fibroma più grande, che raggiunge i 5 cm e presenta necrosi e aree colliquate. 
La dottoressa che esegue l’ecografia mi dice che queste caratteristiche, unite alla crescita repentina, non possono fare escludere un’evoluzione di tipo maligno, e che l’eventuale operazione, per la posizione particolare del mio fibroma, poteva comportare la rimozione dell’utero. Andava monitorato a breve.

Alla ricerca di un sostegno naturale, ad aprile 2019 inizio il mio percorso con Cristiana. Era la prima volta che ricorrevo alla terapia floreale. 
La prima volta che mi affidavo ai fiori di Bach, ma il mio cuore mi diceva che era la strada giusta. 
Le persone intorno a me, infatti, non mi capivano realmente. 
Cristiana si è mostrata subito molto sensibile, dolce, ma ferma e sincera. 
Io però, che nella vita mi sono sempre impegnata in tutto per ottenere risultati (tienilo a mente, questo passaggio!), ero scettica che questi fiori potessero davvero lavorare dentro di me “senza sforzo”, senza che io mi dovessi applicare, seguire delle regole. Troppo facile, mi dicevo, chissà se funzionerà.


Nelle sedute con Cristiana, abbiamo iniziato a lavorare sull’ascolto del sintomo, sull’accogliere le mie emozioni, dar loro riconoscimento, accettarle: qualcosa che, con lei, mi riusciva di fare ma, tornata alla vita quotidiana, mettevo poco in pratica, presa da mille altre cose. 
Però, come le dissi nel primo colloquio, mi ero ripromessa sin da subito di non chiederle nulla sulla miscela di fiori, di affidarmi a lei, per non andare a guardare cosa significavano, mentalizzando troppo, senza “sentire” davvero il mio corpo.

L’affidarsi, la fiducia, per una storia personale fatta di abusi nella cerchia familiare, è semre stata una questione difficile per me.

Alla fine di luglio 2019, nuova ecografia di controllo: il fibroma è ormai di 5,3 cm, con ampie aree colliquate, la dottoressa è molto preoccupata, ripete che le due caratteristiche che concorrono alla prognosi negativa, l’aumento repentino e l’aspetto anomalo, sono entrambe presenti, nonostante a gennaio i marcatori tumorali fossero negativi. Andrà rimosso, ma l’utero non si sa se verrà salvato.

La seduta di inizio agosto con Cristiana, per me, è stata la più dolorosa. 
Ero riuscita a prenotare la visita con un altro bravo ginecologo per la fine del mese, ero in attesa di una risonanza, in un periodo difficile dovuto alle vacanze estive e alla chiusura di molti servizi. Ma soprattutto, è stata la più dolorosa perché mi sembrava di essere più serena negli ultimi tempi, eppure il fibroma era aumentato di volume, e di poco anche gli altri. 

Ero confusa, credevo di essere sulla strada giusta, di avere davvero riconosciuto questi fibromi, di averli accolti come parte di me, di avere visto e accettato la Verità, cioè la rappresentazione di figli tanto desiderati e mai avuti, ma evidentemente non era così. Ed ero smarrita. Mi sembrava che a me mancasse sempre quel pezzetto in più per ascoltare davvero, per accettare e guarire, che molti, apparentemente, non faticavano a trovare e con cui io non riuscivo mai a connettermi veramente.

Dentro di me provavo tanta rabbia, invidia, paura e giudizio. 
“Il corpo dice la Verità dell’anima e da lì non si scappa”, mi diceva Cristiana. 

Ma mi sembrava di non capire quando aggiungeva che si trattava di compiere un passaggio evolutivo, di espandere la mia coscienza rispetto a chi sono veramente
Cosa vuol dire, davvero? Come si fa? 
Così ho iniziato a leggere il libro e guardare i video che mi aveva consigliato. 

In tutti questi mesi, certo, avevo iniziato ad ascoltare di più me stessa e i miei bisogni profondi. Ero arrivata a immaginare la mia parte bambina come una piccola me che tenevo per mano ogni giorno, e a cui stavo più attenta a far vivere esperienze, pensieri ed emozioni positive, una bambina a lungo trascurata di cui imparavo a prendermi cura. Ma non bastava. 

Avevo anche iniziato a ricercare in me i tratti che ritenevo molto negativi negli altri. Uno su tutti, il menefreghismo delle persone in questo mio momento, dopo essere stata loro vicina in situazioni difficili. 
Con l’aiuto di Cristiana, ho capito che a volte io stessa adottavo questo comportamento ma, soprattutto, nei confronti di me stessa e del mio sentire. 

"Se non dai riconoscimento vero a ciò che il tuo corpo e la tua anima vogliono dirti, è come se durante i nostri colloqui tu mi parlassi, mi rivelassi le tue sofferenze, e io non ti ascoltassi, non ti dessi attenzione" mi diceva. 
Un concetto tanto semplice, quanto illuminante. E anche se non sapevo bene a cos’altro dare attenzione dentro di me, senza saperlo, stavo lentamente iniziando ad ammorbidirmi.

Passa un mese di agosto faticoso, poi la svolta: la visita dal ginecologo che tanto aspettavo, la sua proposta di operarmi in maniera poco invasiva con isteroscopia in due tempi, nonostante lo scetticismo del suo ecografista. La rassicurazione che non c’era evoluzione maligna. Che l’utero si poteva salvare. 
Ma soprattutto, il timido riconoscere da parte mia che mi stavo lentamente affidando alla vita, che quella era la strada giusta per me

Ero felicissima di operarmi, mi sentivo leggera, come se mi fossi liberata di un grosso peso dal cuore. Mi sentivo nelle mani giuste. Mi fidavo.
A 42 anni, io, senza ancora un compagno, sola da tanto tempo e con il desiderio di avere figli e creare una famiglia come molte altre donne, a cui avevano prospettato una rimozione dell’utero e con tanti pianti alle spalle che nessun principe azzurro era lì per consolare, mi sentivo nelle mani giuste. E finalmente capita.

Inizia settembre e noto di affidarmi sempre di più alla vita. 
Senza sforzo
Sarà quel che sarà, comincio a dirmi, senza riproverarmi di non fare nulla, di non “darmi da fare”. Inizio a capire che non posso evitare che alcune cose accadano, e altre non accadano, anzi, combatterle blocca il flusso della vita, e negli anni questa battaglia mi aveva estenuato. Ero stanca, sfinita. 

Mi arrendo, mi dico. Senza giudicarmi. E capisco come arrendersi richieda una grande dose di coraggio. Ti sembra di essere un passo indietro, invece sei un passo avanti. 

Mi arrendo alla possibilità di rimanere sola per sempre. Ho già superato molti ostacoli e giudizi sociali da sola. Non mi serve più pensare continuamente al compagno e alla famiglia che non ho. Ormai, alla mia età, il peggio è passato, penso. Mi piace la mia vita, la casa e il lavoro meraviglioso che ho creato da sola, la mia famiglia con una storia dolorosa e le mie poche, vere amiche. Ma mancava come un ultimo tassello.

A metà settembre, l’ultima svolta. Sono in albergo, è una domenica sera prima di una giornata di lavoro come tante. Alla TV c’è lo speciale sul ponte Morandi. Intervistano le famiglie delle persone scomparse e le vittime sopravvissute. Verso la fine, questa donna dice: “Io non ho nessun merito a essere sopravvissuta”, spiegando di non valere né più, né meno delle altre persone che sono morte. Questa è una frase che non potrò mai dimenticare. Mi sblocca. 

È proprio vero, mi dico. E il pensiero comincia a vagare: non c’è alcun merito nell’essere vivi, così come non c’è alcun merito nell’avere un compagno o nel non averlo. 
Non ho niente di sbagliato se accanto a me non c’è nessuno, perché non c’è nessun merito nell’amore che, per definizione, non è meritato, ma è uno dei tanti doni che la vita ci dà. 
Ad alcuni capita un dono anziché un altro, anche se non è dato sapere il perché.

Ecco, io che da anni ormai sono sola, che le convenzioni sociali hanno portato a dubitare di avere qualcosa che non va, che ho fatto un percorso per trovarmi i “difetti” pur essendo una ragazza normalissima che, come tutte noi, ha molto da offrire, ho accettato la mia condizione dopo anni di lotta, di paura di rimanere da sola, di vedere questi ultimi anni delicati scorrere via complimentandomi con gli altri per figli e matrimoni, mentre la mia vita affettiva non progredisce, e di chiedermi il perché. Io non so il perché, e accetto di continuare a vivere non sapendolo. Ma so che non c’è nulla di sbagliato in me. 

So che vado bene, così come sono.

È con questo stato d’animo che attendo i risultati di un test ormonale molto importante per me. 

Smetto di formulare preghiere, affidandomi alla vita

Andrà come deve andare, mi dico, io non posso cambiare le cose. Il test mi è stato prescritto a fine agosto dal chirurgo, al quale ho confidato che, come ultima opportunità, volevo provare a sentire se alla mia età fosse ancora possibile la crioconservazione degli ovociti. A fine settembre, leggo il risultato qualche giorno prima dell’appuntamento con la dottoressa che mi visiterà. AMH intorno a 1, guardo su internet, sembra un valore abbastanza buono per la mia età, ma resto con i piedi per terra.

All’appuntamento, la dottoressa è stata squisita, e mi ha dedicato più di un’ora. Mi dice che il valore non è male, ma vuole verificare se rispecchia la realtà delle ovaie con la conta dei follicoli antrali. Sono 11. Ripete che la situazione di partenza non è male, solo che io ho più di 38 anni, il limite massimo solitamente fissato per questi trattamenti. Quantitativamente si potrebbe ancora procedere, ma la qualità degli ovociti, nonostante la selezione prima di congelarli, è inferiore a quella di una donna giovane, pur presentando valori più bassi. 
Mi dice che il limite di età più congruo per conservare è entro i 35 anni, ma in Italia si arriva tardi, le donne non pensano a preservare la propria fertilità, e che per me la soluzione migliore sarebbe stata eventualmente l’ovodonazione. Mi mostra esempi di famiglie felici, mi spiega tutto di questo mondo a me sconosciuto. Poi mi dice: “Tecnicamente, non posso dirti che nel tuo caso non si può fare, la situazione di partenza non è male per la tua età, le tue ovaie possono essere di un anno o due più giovani, però le tue probabilità di rimanere incinta con ovociti crioconservati è intorno al 5-7%, non farti illusioni. 

In queste cose, l’età conta. Certo, la vita resta un miracolo, e magari, se trovi un compagno, potresti anche avere figli naturalmente, oppure con questa riserva crioconservata. Ma le possibilità sono estremamente ridotte”.

Io ho appreso questo messaggio con grande serenità. Non mi sono abbattuta, io che ho sempre desiderato una famiglia con tre figli e invece sono stata accompagnata al centro non da un compagno di vita, ma da mio padre. Non mi sono sentita da meno delle altre donne, perché so che anche diventare madre è un dono immeritato.

Io ho il dono di poterci ancora provare, nonostante le basse aspettative e non sapendo se questa riserva verrà mai utilizzata, ma vorrei lasciare, senza la minima intenzione di suscitare timore o allarmismi, un messaggio chiaro di consapevolezza a tutte le donne che mi leggeranno: 
se in futuro hai il desiderio di diventare madre, ma magari stai pensando alla carriera o ad altri progetti, è sempre bene fare controlli mirati intorno ai 30 anni, per avere la possibilità di fare scelte consapevoli e non precluderti eventualmente alcuna possibilità di preservare la tua fertilità. Ci sono donne anche molto giovani, mi è stato detto, che hanno già valori più bassi dei miei, indice di una riserva ovarica in via di esaurimento, per cui vale la pena sapere, per poter scegliere la strada più giusta per sé. Ma senza illusioni di eterna giovinezza.


Io ringrazio la vita di avere ancora questa opportunità, e di esserci arrivata proprio quando un verdetto così severo non mi rattrista, non mi fa piangere, ma mi porta, una volta di più, ad affidarmi alla vita e ai doni che vorrà offrimi, senza pretendere nulla.

Ringrazio Cristiana e i suoi fiori meravigliosi con tutto il cuore, per avermi presa per mano e accompagnata in questa profonda evoluzione, facendomi vedere e accogliere la rabbia, la paura e la non accettazione di rimanere sola. 
Tra agosto e settembre, io che sembravo non trovare mai quel tassello mancante, che non sapevo espandere la visione di me contemplando anche la solitudine, assumevo i fiori senza più pensare a una reale trasformazione. Me ne sono dimenticata, ma loro non si sono dimenticati di me. E riprendendo casualmente in mano l’ultima boccetta, ho letto con stupore: “Accetto il presente e mi affido alla vita”...

Nella speranza che questa mia storia possa aiutare il maggior numero di donne e diffondere la voce, vi stringo forte e vi auguro di amarvi per tutta la vita, così come siete. Il valore è già dentro di noi."

Ringrazio di cuore Roberta (un nome inventato per mantenere la privacy) per questo importante documento che mi auguro molte donne potranno leggere affinché possano sentirsi comprese.

Per info e appuntamenti:
Cristiana Zenoni
328 8171805
Skype: terapiafloreale

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