Cari amici di questo blog,
oggi pubblico con grande gioia una nuova testimonianza, quella di una donna molto coraggiosa, che a 42 anni ha trovato le soluzioni più consone alla propria natura e alla propria volontà, per salvare il proprio utero da una probabile isterectomia a causa di vari fibromi uterini, e che soprattutto ha smesso di lottare contro se stessa, trovando la pace nel suo cuore.
Ecco la sua preziosa testimonianza:
"Cara Cristiana e care tutte,
vi scrivo per condividere con voi
la mia storia, nella speranza che possa dare conforto a chi si trova in una
situazione simile alla mia.
Ho 42 anni e, a gennaio 2019, mi
rivolgo a un centro a Milano per curare il mio piccolo fibroma con una crema a
base di ormoni bioidentici, non volendo prendere la pillola come consigliato
dalla mia ginecologa.
Lo tenevo controllato dal 2014, ma da mesi avevo forti
dolori nel periodo ovulatorio e i cicli iniziavano ad essere ravvicinati.
Lì
scopro che si è ingrossato arrivando a misurare circa 4,5 cm, e ce n’erano
altri due più piccoli.
Inizio a curare di più anche l’alimentazione, comunque
già molto equilibrata, eliminando tutti i cibi che procurano acidosi
nell’organismo (tè, caffè, carne, latticini, frumento, ecc).
Un’ecografia 3D il
mese successivo evidenzia un’ulteriore crescita del fibroma più grande, che
raggiunge i 5 cm e presenta necrosi e aree colliquate.
La dottoressa che esegue
l’ecografia mi dice che queste caratteristiche, unite alla crescita repentina,
non possono fare escludere un’evoluzione di tipo maligno, e che l’eventuale operazione,
per la posizione particolare del mio fibroma, poteva comportare la rimozione
dell’utero. Andava monitorato a breve.
Alla ricerca di un sostegno
naturale, ad aprile 2019 inizio il mio percorso con Cristiana. Era la prima
volta che ricorrevo alla terapia floreale.
La prima volta che mi affidavo ai
fiori di Bach, ma il mio cuore mi diceva che era la strada giusta.
Le persone
intorno a me, infatti, non mi capivano realmente.
Cristiana si è mostrata
subito molto sensibile, dolce, ma ferma e sincera.
Io però, che nella vita mi
sono sempre impegnata in tutto per ottenere risultati (tienilo a mente, questo
passaggio!), ero scettica che questi fiori potessero davvero lavorare dentro di
me “senza sforzo”, senza che io mi dovessi applicare, seguire delle regole. Troppo
facile, mi dicevo, chissà se funzionerà.
Nelle sedute con Cristiana,
abbiamo iniziato a lavorare sull’ascolto del sintomo, sull’accogliere le mie
emozioni, dar loro riconoscimento, accettarle: qualcosa che, con lei, mi riusciva
di fare ma, tornata alla vita quotidiana, mettevo poco in pratica, presa da
mille altre cose.
Però, come le dissi nel primo colloquio, mi ero ripromessa
sin da subito di non chiederle nulla sulla miscela di fiori, di affidarmi a
lei, per non andare a guardare cosa significavano, mentalizzando troppo, senza
“sentire” davvero il mio corpo.
L’affidarsi, la fiducia, per una storia
personale fatta di abusi nella cerchia familiare, è semre stata una questione
difficile per me.
Alla fine di luglio 2019, nuova
ecografia di controllo: il fibroma è ormai di 5,3 cm, con ampie aree
colliquate, la dottoressa è molto preoccupata, ripete che le due
caratteristiche che concorrono alla prognosi negativa, l’aumento repentino e l’aspetto
anomalo, sono entrambe presenti, nonostante a gennaio i marcatori tumorali
fossero negativi. Andrà rimosso, ma l’utero non si sa se verrà salvato.
La seduta di inizio agosto con
Cristiana, per me, è stata la più dolorosa.
Ero riuscita a prenotare la visita
con un altro bravo ginecologo per la fine del mese, ero in attesa di una
risonanza, in un periodo difficile dovuto alle vacanze estive e alla chiusura
di molti servizi. Ma soprattutto, è stata la più dolorosa perché mi sembrava di
essere più serena negli ultimi tempi, eppure il fibroma era aumentato di volume,
e di poco anche gli altri.
Ero confusa, credevo di essere sulla strada giusta,
di avere davvero riconosciuto questi fibromi, di averli accolti come parte di
me, di avere visto e accettato la Verità, cioè la rappresentazione di figli
tanto desiderati e mai avuti, ma evidentemente non era così. Ed ero smarrita. Mi
sembrava che a me mancasse sempre quel pezzetto in più per ascoltare davvero,
per accettare e guarire, che molti, apparentemente, non faticavano a trovare e
con cui io non riuscivo mai a connettermi veramente.
Dentro di me provavo tanta
rabbia, invidia, paura e giudizio.
“Il corpo dice la Verità dell’anima e da lì
non si scappa”, mi diceva Cristiana.
Ma mi sembrava di non capire quando
aggiungeva che si trattava di compiere un passaggio evolutivo, di espandere la
mia coscienza rispetto a chi sono veramente.
Cosa vuol dire, davvero? Come si
fa?
Così ho iniziato a leggere il libro e guardare i video che mi aveva
consigliato.
In tutti questi mesi, certo, avevo iniziato ad ascoltare di più me
stessa e i miei bisogni profondi. Ero arrivata a immaginare la mia parte
bambina come una piccola me che tenevo per mano ogni giorno, e a cui stavo più
attenta a far vivere esperienze, pensieri ed emozioni positive, una bambina a
lungo trascurata di cui imparavo a prendermi cura. Ma non bastava.
Avevo anche
iniziato a ricercare in me i tratti che ritenevo molto negativi negli altri.
Uno su tutti, il menefreghismo delle persone in questo mio momento, dopo essere
stata loro vicina in situazioni difficili.
Con l’aiuto di Cristiana, ho capito
che a volte io stessa adottavo questo comportamento ma, soprattutto, nei
confronti di me stessa e del mio sentire.
"Se non dai riconoscimento vero a ciò
che il tuo corpo e la tua anima vogliono dirti, è come se durante i nostri
colloqui tu mi parlassi, mi rivelassi le tue sofferenze, e io non ti
ascoltassi, non ti dessi attenzione" mi diceva.
Un concetto tanto semplice,
quanto illuminante. E anche se non sapevo bene a cos’altro dare attenzione
dentro di me, senza saperlo, stavo lentamente iniziando ad ammorbidirmi.
Passa un mese di agosto faticoso,
poi la svolta: la visita dal ginecologo che tanto aspettavo, la sua proposta di
operarmi in maniera poco invasiva con isteroscopia in due tempi, nonostante lo
scetticismo del suo ecografista. La rassicurazione che non c’era evoluzione
maligna. Che l’utero si poteva salvare.
Ma soprattutto, il timido riconoscere
da parte mia che mi stavo lentamente affidando alla vita, che quella era la
strada giusta per me.
Ero felicissima di operarmi, mi sentivo leggera, come se
mi fossi liberata di un grosso peso dal cuore. Mi sentivo nelle mani giuste. Mi
fidavo.
A 42 anni, io, senza ancora un
compagno, sola da tanto tempo e con il desiderio di avere figli e creare una
famiglia come molte altre donne, a cui avevano prospettato una rimozione
dell’utero e con tanti pianti alle spalle che nessun principe azzurro era lì
per consolare, mi sentivo nelle mani giuste. E finalmente capita.
Inizia settembre e noto di
affidarmi sempre di più alla vita.
Senza sforzo.
Sarà quel che sarà, comincio a
dirmi, senza riproverarmi di non fare nulla, di non “darmi da fare”. Inizio a
capire che non posso evitare che alcune cose accadano, e altre non accadano,
anzi, combatterle blocca il flusso della vita, e negli anni questa battaglia mi
aveva estenuato. Ero stanca, sfinita.
Mi arrendo, mi dico. Senza giudicarmi. E
capisco come arrendersi richieda una grande dose di coraggio. Ti sembra di
essere un passo indietro, invece sei un passo avanti.
Mi arrendo alla
possibilità di rimanere sola per sempre. Ho già superato molti ostacoli e
giudizi sociali da sola. Non mi serve più pensare continuamente al compagno e
alla famiglia che non ho. Ormai, alla mia età, il peggio è passato, penso. Mi
piace la mia vita, la casa e il lavoro meraviglioso che ho creato da sola, la
mia famiglia con una storia dolorosa e le mie poche, vere amiche. Ma mancava
come un ultimo tassello.
A metà settembre, l’ultima svolta.
Sono in albergo, è una domenica sera prima di una giornata di lavoro come tante.
Alla TV c’è lo speciale sul ponte Morandi. Intervistano le famiglie delle
persone scomparse e le vittime sopravvissute. Verso la fine, questa donna dice:
“Io non ho nessun merito a essere sopravvissuta”, spiegando di non valere né
più, né meno delle altre persone che sono morte. Questa è una frase che non
potrò mai dimenticare. Mi sblocca.
È proprio vero, mi dico. E il pensiero comincia
a vagare: non c’è alcun merito nell’essere vivi, così come non c’è alcun merito
nell’avere un compagno o nel non averlo.
Non ho niente di sbagliato se accanto
a me non c’è nessuno, perché non c’è nessun merito nell’amore che, per
definizione, non è meritato, ma è uno dei tanti doni che la vita ci dà.
Ad
alcuni capita un dono anziché un altro, anche se non è dato sapere il perché.
Ecco,
io che da anni ormai sono sola, che le convenzioni sociali hanno portato a
dubitare di avere qualcosa che non va, che ho fatto un percorso per trovarmi i
“difetti” pur essendo una ragazza normalissima che, come tutte noi, ha molto da
offrire, ho accettato la mia condizione dopo anni di lotta, di paura di
rimanere da sola, di vedere questi ultimi anni delicati scorrere via
complimentandomi con gli altri per figli e matrimoni, mentre la mia vita
affettiva non progredisce, e di chiedermi il perché. Io non so il perché, e
accetto di continuare a vivere non sapendolo. Ma so che non c’è nulla di
sbagliato in me.
So che vado bene, così come sono.
È con questo stato d’animo che
attendo i risultati di un test ormonale molto importante per me.
Smetto di
formulare preghiere, affidandomi alla vita.
Andrà come deve andare, mi dico, io
non posso cambiare le cose. Il test mi è stato prescritto a fine agosto dal
chirurgo, al quale ho confidato che, come ultima opportunità, volevo provare a
sentire se alla mia età fosse ancora possibile la crioconservazione degli
ovociti. A fine settembre, leggo il risultato qualche giorno prima dell’appuntamento
con la dottoressa che mi visiterà. AMH intorno a 1, guardo su internet, sembra
un valore abbastanza buono per la mia età, ma resto con i piedi per terra.
All’appuntamento, la dottoressa è
stata squisita, e mi ha dedicato più di un’ora. Mi dice che il valore non è
male, ma vuole verificare se rispecchia la realtà delle ovaie con la conta dei
follicoli antrali. Sono 11. Ripete che la situazione di partenza non è male,
solo che io ho più di 38 anni, il limite massimo solitamente fissato per questi
trattamenti. Quantitativamente si potrebbe ancora procedere, ma la qualità
degli ovociti, nonostante la selezione prima di congelarli, è inferiore a
quella di una donna giovane, pur presentando valori più bassi.
Mi dice che il
limite di età più congruo per conservare è entro i 35 anni, ma in Italia si
arriva tardi, le donne non pensano a preservare la propria fertilità, e che per
me la soluzione migliore sarebbe stata eventualmente l’ovodonazione. Mi mostra
esempi di famiglie felici, mi spiega tutto di questo mondo a me sconosciuto.
Poi mi dice: “Tecnicamente, non posso dirti che nel tuo caso non si può fare,
la situazione di partenza non è male per la tua età, le tue ovaie possono
essere di un anno o due più giovani, però le tue probabilità di rimanere
incinta con ovociti crioconservati è intorno al 5-7%, non farti illusioni.
In
queste cose, l’età conta. Certo, la vita resta un miracolo, e magari, se trovi
un compagno, potresti anche avere figli naturalmente, oppure con questa riserva
crioconservata. Ma le possibilità sono estremamente ridotte”.
Io ho appreso questo messaggio
con grande serenità. Non mi sono abbattuta, io che ho sempre desiderato una
famiglia con tre figli e invece sono stata accompagnata al centro non da un
compagno di vita, ma da mio padre. Non mi sono sentita da meno delle altre
donne, perché so che anche diventare madre è un dono immeritato.
Io ho il dono di poterci ancora
provare, nonostante le basse aspettative e non sapendo se questa riserva verrà mai
utilizzata, ma vorrei lasciare, senza la
minima intenzione di suscitare timore o allarmismi, un messaggio chiaro di
consapevolezza a tutte le donne che mi leggeranno:
se in futuro hai il
desiderio di diventare madre, ma magari stai pensando alla carriera o ad altri
progetti, è
sempre bene fare controlli mirati intorno ai 30 anni, per avere la possibilità
di fare scelte consapevoli e non precluderti eventualmente alcuna possibilità
di preservare la tua fertilità. Ci sono donne anche molto giovani, mi è stato
detto, che hanno già valori più bassi dei miei, indice di una riserva ovarica
in via di esaurimento, per cui vale la pena sapere, per poter scegliere la
strada più giusta per sé. Ma senza illusioni di eterna giovinezza.
Io ringrazio la vita di avere
ancora questa opportunità, e di esserci arrivata proprio quando un verdetto
così severo non mi rattrista, non mi fa piangere, ma mi porta, una volta di più,
ad affidarmi alla vita e ai doni che vorrà offrimi, senza pretendere nulla.
Ringrazio Cristiana e i suoi
fiori meravigliosi con tutto il cuore, per avermi presa per mano e accompagnata
in questa profonda evoluzione, facendomi vedere e accogliere la rabbia, la
paura e la non accettazione di rimanere sola.
Tra agosto e settembre, io che
sembravo non trovare mai quel tassello mancante, che non sapevo espandere la visione
di me contemplando anche la solitudine, assumevo i fiori senza più pensare a
una reale trasformazione. Me ne sono dimenticata, ma loro non si sono
dimenticati di me. E riprendendo casualmente in mano l’ultima boccetta, ho
letto con stupore: “Accetto il presente e mi affido alla vita”...
Nella speranza che questa mia
storia possa aiutare il maggior numero di donne e diffondere la voce, vi stringo
forte e vi auguro di amarvi per tutta la vita, così come siete. Il valore è già
dentro di noi."
Ringrazio di cuore Roberta (un nome inventato per mantenere la privacy) per questo importante documento che mi auguro molte donne potranno leggere affinché possano sentirsi comprese.
Per info e appuntamenti:
Cristiana Zenoni
328 8171805
Skype: terapiafloreale
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